Questo sito web utilizza i cookie

Tu sei qui

La Memoria del nostro territorio

Alcuni di noi alunni della 4^F, in vista della Giornata della Memoria, abbiamo avuto l’occa- sione di incontrare Enrica Bettega, autrice del libro “Ospite del Führer”. La signora Bettega ha scritto quest’opera basandosi sul contenuto dei tre diari ritrovati nel 2014 nella vecchia casa di famiglia in una cassetta - da lei chiamata an- che “cassetta della memoria”-, in cui il padre Battista, militare del Battaglione Alpini Morbe- gno classe 1919 chiamato alle armi nel 1940 a soli 21 anni, ha riportato le esperienze vissute durante il periodo di detenzione nei campi di prigionia, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale.

L’incontro è stato per noi formativo perché ci ha fatto vivere, attraverso le parole appassio- nate e cariche di emozione della signora Enri- ca, una pagina di storia che ignoravamo. Ab- biamo compreso che essere protagonisti della storia non è solo essere grandi strateghi o grandi personaggi, la storia è scritta anche tra le pareti di case anonime, è scritta da un uomo, marito e padre che non ha mai perso la speranza, che ha scritto e ha saputo tacere per non ferire chi amava e aveva accanto. Per questo noi lo consideriamo un eroe.

La scrittrice descrive il padre come un uomo forte e determinato, in grado di sopravvivere ventidue mesi in condizioni disumane come prigioniero, riuscendo però a voltare pagina e dimenticare l’orrore vissuto in guerra. Il padre non aveva mai parlato della sua esperienza con la figlia, i cui dettagli diverranno noti solo dopo la sua morte tramite il ritrovamento dei diari conservati assieme al fregio del cappello da alpino, 1780 Reichsmark (valuta tedesca in uso dal 1924 fino al 20 giugno 1948) e la posta di guerra. Dal 2006, in riconoscimento dei de- portati civili e militari della Seconda Guerra Mondiale, come testimonianza ricevette una medaglia d’onore, ritirata dalla figlia Enrica nel 2018 dopo la morte del padre.

Battista Bettega

Le prime pagine di diario risalgono al giorno della cattura, avvenuta l’8 settembre 1943 presso la caserma di San Candido, dove gli al- pini del Battaglione Morbegno vennero accer- chiati dai soldati nazisti e successivamente condotti in Germania presso i campi di deten- zione, gli stalag. Durante la prigionia, Battista Bettega appuntò sul diario i le esperienze vissute fino alla liberazione, avvenuta a fine aprile del 1945 con conseguente rientro in pa- tria il 26 giugno dello stesso anno, dopo aver percorso ltre 700 km a piedi e con mezzi di fortuna.

Nel periodo successivo alla deportazione scrivere su un diario ciò che stava vivendo lo aiutò molto a tenere la mente occupata e, per pochi istanti, dimenticare le atrocità che era costretto a vedere e a subire quotidianamente. Queste piccole agende erano state recuperate quando negli addestramenti militari doveva appuntarsi tutte le informazioni teoriche riguardanti i can- noni e rischiosamente nascoste ai controlli del- le guardie tedesche. Una volta esaurite le pagi- ne, riuscì a racimolare dei fogli e a legarli insie- me, con minuziosa perizia tramite una cordicel- la.

Gli stalag erano campi riservati ai prigionieri di guerra. Le condizioni di vita al loro interno era- no disumane e inoltre bisognava combattere contro la fame, il freddo, la paura e il dolore per la morte dei compagni. Il primo compito da svolgere una volta entrati nel campo era quello di imparare il proprio gefangenennummer, ovvero il numero del prigioniero costituito da sei cifre con il quale venivano identificati. Le gior- nate erano tutte uguali, alla mattina venivano fatte delle adunate, che a volte duravano ore, sempre all’aperto anche d’inverno, tutti immo- bili, a patire freddo, dopodiché si andava in fabbrica, dove si lavorava fino a sera. L’unica differenza con i campi di concentramento era che in caso di bisogno c’era l’assistenza medi- ca degli ospedali (probabilmente più che per motivi morali per non perdere la manovalanza all’interno dei campi lavoro). L’unico modo per non entrare nello stalag era far parte del partito ma, nonostante questa possibilità, pochissimi soldati accettarono e molti di questi scapparo- no una volta tornati in Italia.

Il cibo che veniva fornito ai prigionieri di guerra nei campi era di scarsissima qualità e veniva distribuito in quantità modeste: spesso gli internati si riducevano ad abbuffarsi con scarti di cibo come le bucce di patate, fino a stare male fisicamente. A volte veniva dato il permesso alle famiglie di inviare dei pacchi di viveri che, prima di essere introdotti nei campi, venivano ispezionati e razionati dalle guardie tedesche. A prova di questo, negli anni successivi alla guerra, vennero trovati magazzini pieni zeppi di cibi avariati che erano stati confiscati e mai consegnati ai destinatari. Così anche per le lettere che i familiari potevano scrivere ai prigionieri, censurate con cancellature lasciando un numero massimo di parole, ne sono state ritrovate moltissime, tutte quasi identiche, modificate dalle guardie tedesche in modo da far rimanere all’oscuro della situazione i parenti dei soldati.

Alla nostra domanda su cosa l’avesse spinta a scrivere il libro la signora Enrica Bettega ci ha risposto: “Innanzitutto ritenevo fosse fondamentale dare voce a chi non ce l’ha fatta e a chi non ne aveva la forza: sentivo l’urgenza di seguire le orme che aveva lasciato mio padre, ricostruendo così la storia attraverso le sue testimonianze scritte. Inoltre è stata importante la pubblicazione del libro in un periodo lontano dalla guerra perché ha avuto un maggior livore.”

Autore: 
Battistessa Luca, Codebò Michele, Colzada Alex, Curioni Davide, Guattini Jacopo, Guzzetti Riccardo 4F Meccanica-Meccatronica
Data di Pubblicazione: 
26/05/2021
Sezione di pubblicazione:: 

Sito realizzato a partire da  "Un CMS per la scuola" di Porte Aperte sul Web, Comunità di pratica per l'accessibilità dei siti scolastici - USR Lombardia.
Il modello di sito è rilasciato sotto licenza Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0 Unported di Creative Commons.