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L’impronta del passato, l’impronta della memoria.

La Costituzione rappresenta, come la definì Piero Calamandrei (1889-1956), un grande giurista antifascista e membro dell’Assemblea Costituente << il programma politico della Resistenza […] Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi: caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta […]Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione>>.

Questa frase, letta e commentata in classe con la nostra insegnante di Storia, mi ha fatto riflettere su quanto ho sentito narrare da mio padre e da mio nonno e ho capito che protagonisti della storia possono essere tutte le persone che abbiamo imparato a conoscere, che forse ci abitano accanto e che condividono con noi la bellezza del nostro paese e soprattutto la nostra libertà. Per questo voglio ricordare una pagina dolorosa della storia di Colico, in memoria delle persone che hanno perso la vita per esso, consentendo con il loro sacrificio a renderlo come noi adolescenti lo vediamo oggi. 

Durante la Seconda Guerra Mondiale, gli abitanti del comune di Colico hanno subito feroci e continui rastrellamenti da parte delle truppe Nazi-Fasciste, la popolazione era impreparata sul fronte della resistenza e vede perdere persone care, conoscenti e amici ogni giorno. La comunità inizia a ribellarsi e ad opporsi a questi durissimi attacchi e umiliazioni.  Iniziano così a formarsi i primi piccoli gruppi di oppositori all’interno del paese e sulle alture del versante settentrionale del Monte Legnone, dove si organizzano i primi gruppi di partigiani pronti a combattere per il bene proprio e per quello di tutte le famiglie cittadine. Colico vive dunque un periodo buio della sua storia, proprio nel biennio 1943-1945. C’è da sapere che i Tedeschi in quel tempo organizzavano delle ronde per scovare i partigiani, e che esistevano soprattutto delle persone all’interno della comunità che purtroppo facevano da spia ai fascisti, barattavano la loro salvezza in cambio della verità, svelando dunque dove poter catturare le persone che si erano nascoste. Nei rastrellamenti la priorità del regime era quella di catturare più uomini possibili, che sarebbero stati successivamente impiegati nei campi di lavoro forzato del Nord Europa. Mio padre mi ha raccontato moltissime storie riguardanti quegli anni, che gli vennero tramandate dai suoi genitori; mi raccontò il modo in cui le persone venivano catturate, attraverso imboscate notturne o perquisizioni a qualsiasi ora in modo che le persone non immaginassero di essere facile preda del nemico. Mi raccontò anche che i Tedeschi mandavano delle specie di lettere che obbligavano a presentarsi in piazza del lago dove arrivava un barcone che caricava gli ormai prigionieri di guerra. Molte altre persone invece venivano portate nei centri di raccolta vicini, come ad esempio a Morbegno, insieme a vecchi e donne. Gli invasori, mi ha raccontato, erano soliti bruciare le case e le stalle con tutto il bestiame, per poter lasciare nella miseria e nella disperazione quei pochi che sopravvivevano.

È dunque doveroso ricordare gli eroi di Colico, quegli uomini che si nascondevano sulla montagna, l’unico posto che potevano conoscere meglio rispetto agli aguzzini stranieri.  Molti di loro persero la vita negli scontri contro i nemici, noi non possiamo non ricordare il partigiano Adamo Baruffaldi, nato il 9 maggio 1912 a Premana, tra i primi a prendere le armi contro gli invasori, non più giovanissimo e pertanto non soggetto agli obblighi di leva, fu attivo e audace combattente. Catturato, seppe resistere impavido alle più efferate torture, ma venne impiccato nella piazza di Colico alla forca ivi appositamente costruita. Baruffaldi viene dunque ricordato come un caduto e venne premiato negli anni successivi con la medaglia d’argento per la sua difesa del territorio. Colico all’inizio della guerra aveva 4500 abitanti che vivevano di agricoltura di allevamento del bestiame, lavorando in cartiera e nelle due segherie del paese. Molti erano operai pendolari: le donne si recavano a Dervio e a Bellano al Cotonificio Cantoni, gli uomini si spingevano anche fino a Milano come operai. Colico viene dunque messa a ferro e fuoco dalle milizie repubblichine e dagli occupanti Tedeschi che colpiscono sia i partigiani sul Legnone sia la popolazione civile che sopporta le azioni di rappresaglia e il terrore strategicamente messo in atto per colpire i legami tra i civili e i partigiani in armi.

Un altro importantissimo nome della storia di Colico fu Francesco Magnani (nome di battaglia Francio) che tramandò una sorta di diario in cui scrisse le caratteristiche delle prime formazioni partigiane sul Legnone, uomini di Colico i quali furono sempre saldamente uniti, tanto da conservare una certa autonomia di azione.

Francesco Magni narra inoltre nel suo diario personale l’attacco di Colico dell’8 giugno 1944 mettendo in evidenza la bravura di chi aveva ideato la spedizione contro la Caserma dell’Aviazione (100 uomini), “facendo cadere, senza colpo ferire l’intero presidio”. Nonostante la repressione sulla popolazione, i rastrellamenti e le fucilazioni sommarie, secondo la ricostruzione di Francesco Magni, i partigiani sul Legnone aumentano di numero al punto che era stata necessaria la costituzione di dieci distaccamenti, per la maggior parte disarmati.

Quanta sofferenza e quanti lutti prima del 27 aprile 1945, quando i soldati tedeschi del Forte Montecchio si arrendono ai soldati italiani che si erano accordati con il C.L.N. di Colico, guidato dal Presidente Vittorino Canclini e il giorno 28 aprile 1945 si arrende l’autocolonna tedesca proveniente da Dongo, minacciata dai cannoni del forte i quali puntavano in loro direzione.

Negli ultimi giorni di aprile, il paese, stremato dai bombardamenti, dalle privazioni e dalla repressione nazifascista, entra nella grande storia; si spengono definitivamente a Dongo le speranze di fuga in Svizzera dei fascisti.

Colico diventa protagonista dell’ultimo atto della guerra nell’allora provincia di Como: vengono così salvate le dighe dello Spluga che i nazifascisti in ritirata minacciavano di far saltare per impedire la ripresa produttiva nel milanese e per allagare tutta la nostra ridente valle. La resa dei reparti componenti la colonna tedesca rappresenta un fatto militare di grande importanza come prova l’ordine del giorno che proprio il 26 aprile 1945 era stato impartito dal generale Cadorna, Comandante del CVL, di arrestare a tutti i costi reparti tedeschi e fascisti, che cercassero di arroccarsi e nascondersi in Valtellina. Colico venne liberata ufficialmente quasi dopo due anni di sottomissione e segregazione nazi – fascista.

Ecco dunque che la storia siamo tutti noi, che tutti noi abbiamo il dovere morale di ricordare, soprattutto noi giovani a volte troppo indifferenti dobbiamo ringraziare chi ha lasciato un’impronta così forte nei sentieri delle nostre montagne.

 

 

 

Autore: 
Oscar Mazzina 3F Meccanica-Meccatronica
Data di Pubblicazione: 
26/05/2021
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